Tempi Duri (Itália)
Apesar de ressaltar pontos como falta de originalizade e muita similaridade com a banda Iron Maiden, e também bater em cima da qualidade sonora do cd, este review italiano tem pontos muito interessantes.
http://www.tempi-duri.it
Album autoprodotto di provenienza sudamericana che parla un Classic/Power di stampo maideniano.
La proposta del gruppo appare sin dalle prime note piuttosto canonica, non allontanandosi quasi mai dal solco dei primi Iron Maiden. Un sound, questo dei Vartroy, come quello di quasi tutti i più strenui defenders, che ripete con stanchezza gli stessi stilemi ormai risalenti a tre decadi fa e che peraltro risente fortemente dell’autoproduzione, colpevole di suoni assai poco nitidi e potenti.
Dopo la classica intro dai toni epici, la band esordisce con “Live or Die”, pezzo breve, melodico e diretto, un’opener come da prassi, insomma. Inoltrandosi nell’ascolto dell’album ci imbattiamo in suoni di sirene, raffiche di mitra e deflagrazioni di bombe: siamo nel pieno di una battaglia dalle sorti infauste? No, trattasi solo l’apertura di “War that we can see”, brano che pur non avendo molto di originale, ha una struttura sì canonica ma vagamente più elaborata di quella del precedente pezzo. L’omonima “Vartroy” resta ancora più paralizzata all’interno degli stessi claustrofobici confini, come pure “Cruel Decision”, un buon pezzo nonostante la perenne aura di “già sentito” che lo opprime. “Never look back again” si rivela addirittura al di sotto del non trascendentale livello qualitativo del disco.
Album che è arricchito da una sezione multimediale e da una versione remix di “Live or Die” non molto dissimile dalla versione principale, ergo superflua (la versione remix evidenzia un cantato di un’ottava più alto che doppia quello principale).
Cosa dire? Siamo al cospetto di un gruppo che segue imperterrito la propria strada, incurante di trend e mode, nel nome della fede maideniana o piuttosto di uno che rifiuta ogni evoluzione rifugiandosi nel sicuro alveo materno perché incapace di spiccare il volo con le proprie ali? L’ascolto del disco non risolve l’amletico quesito: di certo c’è solo il fatto, questo sì inopinabile, che il Sud America ci ha regalato gruppi di ben superiore pregio.
RosaVelata
http://www.tempi-duri.it
La proposta del gruppo appare sin dalle prime note piuttosto canonica, non allontanandosi quasi mai dal solco dei primi Iron Maiden. Un sound, questo dei Vartroy, come quello di quasi tutti i più strenui defenders, che ripete con stanchezza gli stessi stilemi ormai risalenti a tre decadi fa e che peraltro risente fortemente dell’autoproduzione, colpevole di suoni assai poco nitidi e potenti.
Dopo la classica intro dai toni epici, la band esordisce con “Live or Die”, pezzo breve, melodico e diretto, un’opener come da prassi, insomma. Inoltrandosi nell’ascolto dell’album ci imbattiamo in suoni di sirene, raffiche di mitra e deflagrazioni di bombe: siamo nel pieno di una battaglia dalle sorti infauste? No, trattasi solo l’apertura di “War that we can see”, brano che pur non avendo molto di originale, ha una struttura sì canonica ma vagamente più elaborata di quella del precedente pezzo. L’omonima “Vartroy” resta ancora più paralizzata all’interno degli stessi claustrofobici confini, come pure “Cruel Decision”, un buon pezzo nonostante la perenne aura di “già sentito” che lo opprime. “Never look back again” si rivela addirittura al di sotto del non trascendentale livello qualitativo del disco.
Album che è arricchito da una sezione multimediale e da una versione remix di “Live or Die” non molto dissimile dalla versione principale, ergo superflua (la versione remix evidenzia un cantato di un’ottava più alto che doppia quello principale).
Cosa dire? Siamo al cospetto di un gruppo che segue imperterrito la propria strada, incurante di trend e mode, nel nome della fede maideniana o piuttosto di uno che rifiuta ogni evoluzione rifugiandosi nel sicuro alveo materno perché incapace di spiccare il volo con le proprie ali? L’ascolto del disco non risolve l’amletico quesito: di certo c’è solo il fatto, questo sì inopinabile, che il Sud America ci ha regalato gruppi di ben superiore pregio.
RosaVelata
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